Requisiti dei supporti

Il controllo dei requisiti prestazionali dei supporti è fondamentale per una buona verniciatura: alcune prove si possono realizzare in azienda con semplici strumenti, mentre per prove più accurate è necessario applicare le procedure previste dalle norme tecniche nazionali e internazionali

Enzo Morandi 
CE.R.TO.(Centro Ricerche Toscano)

Pierluigi Offredi 
Professione Verniciatore

Introduzione

I produttori di pannelli forniscono specifiche di vendita, descritte nelle schede tecniche, che nascono dai loro uffici commerciali o dalle loro associazioni (ad esempio l’;EMB, che raccoglie i maggiori produttori europei). Tali specifiche ovviamente tutelano soprattutto gli interessi dei fornitori e definiscono quindi dei requisiti più bassi rispetto alle prestazioni che normalmente dovrebbero raggiungere. Per questo abbiamo realizzato questa serie di articoli, dedicati alle prove che tutti i verniciatori dovrebbero fare per misurare le prestazioni dei supporti (pannelli in MDF, truciolare, ecc.). Non tutte le aziende sono in grado di assumere tecnici specializzati, capaci di applicare le norme tecniche ufficiali, e di dotarsi di laboratori attrezzati con gli strumenti adeguati. Però, per cominciare a familiarizzare con il concetto di verifica dele prestazioni, basta solo qualche semplice strumento e un po’ di buona volontà. La stratigrafia: a che cosa serve? Non fatevi impressionare dal nome: si tratta di una prova semplice, o perlomeno è facile da eseguire anche in un reparto verniciatura. La prova serve per vedere quante “mani” o strati, sono occorsi per realizzare un tipo di verniciatura, con quali prodotti è stata eseguita, quanto materiale (approssimativamente) è stato applicato. L’insieme di questi dati può metterci in condizione di ripetere quel risultato, o di migliorarlo (a chi ci riesce o può).

Come si esegue

Si passa il pezzo da esaminare in una levigatrice automatica, applicando sotto il pannello in esame un paio di strisce d’impiallacciatura con del doppio adesivo, oppure qualcos’;altro che abbia uno spessore da uno a due mm, a seconda della grandezza del pezzo in esame, in modo che la macchina, magari in diversi passaggi, consumi la vernice dal supporto fino a zero con una inclinazione di un grado, un grado e mezzo. L’ultima passata deve essere fatta con una grana molto fine, almeno 400, perché va spazzolata, lucidata perfettamente, o quasi, con una spazzola per lucidare il Poliesteri. Bisogna poi lavare bene la parte abrasa e lucidata, con un detersivo per piatti, risciacquando e asciugando, lasciando infine riposare per qualche ora. Praticate una o più righe perpendicolari agli strati della vernice, con un pennarello indelebile nero o blu. Attendete ancora un po’ di tempo (un’ ora circa) e lavate bene il tutto con un batuffolo di cotone idrofilo inzuppato di acetone; se non si scioglie niente, asciugate ed osservate, magari con una lente, se alcuni strati si sciolgono. Bisogna attendere una mezz’oretta senza asciugare, quindi, come prima si osserva con una lente. La prima osservazione va dedicata all’eventuale residuo della riga di pennarello: quanta più riga è rimasta, tanto più poroso (e quindi assorbente) è il prodotto. Se sono rimasti dei puntini neri, o blu, secondo il colore del pennarello usato, significa che in quello strato c’erano dei forellini o bollicine. Se non sono rimasti segni di nessun tipo tutti gli strati sono perfetti. Un altro dato significativo da valutare deriva dall’osservazione tra uno strato e l’altro: se c’è del lucido, con netto distacco, significa che tra le varie mani di vernice non c’è sufficiente aggrappaggio, a causa di un eccessivo intervallo di tempo di applicazione tra mano e mano, oppure per una levigatura inadeguata. Se viceversa si stenta a vedere il distacco tra due strati e se ne vede uno troppo grosso per essere una sola mano, magari intravedendo una linea ondulata al centro quasi impercettibile, allora l’intervallo di tempo tra l’applicazione delle mani è stato troppo breve, il che comporta gli stessi rischi che nascono quando, per risparmiare tempo, si applica una mano in meno, ma con più prodotto per ogni strato: calo, bollicine, o addirittura schiantature. La prova consente anche di vedere se tutti gli strati sono di uguale durezza: quelli più teneri si consumano più in fretta, quindi appaiono più bassi e opachi. Se si usa sempre la stessa inclinazione, misurando la larghezza dello strato e comparandolo inizialmente con una misura più seria, dopo qualche esperimento si ha lo spessore dello strato. Ponendo una serie di batuffoli di cotone inzuppato di vari solventi, si può con discreta approssimazione riconoscere la resina con cui è composto lo strato. Ad esempio con DMF (Dimetilformamide) si rammollisce tutto meno il Poliesteri e gli Epossidici, sui quali si produce, in qualche caso, qualche scalfittura. Il Cloruro di metilene (o Diclorometano) aggredisce poco gli Epossidici, rammollisce i Poliuretani ed alcuni Acrilici, diluendo completamente Nitro e Butirrati di cellulosa. L’Acetone scioglie o rammollisce gli Acrilici e decompone completamente i Cellulosici. Tutto questo con varie differenze ed approssimazioni, ma un’idea ce la si fa!

 

Le prove sui supporti: la stratigrafia (parte 3) – 31/03/2014
Il controllo dei requisiti prestazionali dei supporti è fondamentale per una buona verniciatura: alcune prove si possono realizzare in azienda con semplici strumenti, mentre per prove più accurate è necessario applicare le procedure previste dalle norme tecniche nazionali e internazionali
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