alcool e vernici poliuretaniche

Dall’esame di casi di contestazione, dovuti a difetti di verniciatura, si possono trarre utili indicazioni per la corretta gestione dei processi di verniciatura e dei parametri principali che è necessario tenere sotto controllo per ottenere risultati ottimali. Alcol e vernici poliuretaniche non vanno mai d’accordo!

ENZO MORANDI – CE.R.TO

LA CONTESTAZIONE

Un architetto, del quale per ovvi motivi deontologici non faremo il nome, né indicheremmo la zona di residenza, contestò la fornitura al produttore del suo arredamento, eseguito su misura e disegno specifico, perché presentava sin dall’inizio delle zone più opache, che nel tempo diventarono anche leggermente sbiancate, con aloni che deturpavano la bellezza dei mobili. Addirittura in alcuni punti, dove la quantità di vernice applicata era molto alta, si notavano con una lente anche delle microcricche (crettolini) nel film di vernice.
Come spesso succede in questi casi, il produttore dei mobili chiamò in causa il verniciatore conto terzi, il quale a sua volta attribuì la responsabilità al fornitore di vernice. Cominciarono le azioni peritali, difficili già di per sé, ma rese ancor più complesse dalla quantità di consulenti tecnici coinvolti nella vicenda: il CTU (il consulente tecnico nominato dal Tribunale), il sottoscritto in veste di CTP (consulente tecnico della parte attrice, cioè dell’architetto), il CTP di parte convenuta (cioè il consulente tecnico del falegname), il CTP della terza chiamata (cioè il consulente tecnico del verniciatore) ed infine il CTP dell’altra terza chiamata (cioè il consulente tecnico del produttore di vernici).
Lascio immaginare ai lettori le difficoltà e le lungaggini richieste da questo caso, già di per sé complesso tecnicamente: mettere d’accordo 5 tecnici, per altro interessati a “portare l’acqua al proprio mulino” almeno quanto basta a non sfigurare, ma soprattutto spronati dai quatto avvocati a cercare degli argomenti o spiegazioni che possano dar ragione al proprio cliente, è impresa davvero titanica.
Quando una faccenda è chiara, indiscutibile e lapalissiana, nessun tecnico si presta a discussioni faziose e, pur salvando la faccia con piccole giustificazioni, finisce sempre col riconoscere la responsabilità del proprio cliente, o a dare le dimissioni dall’incarico. Quando però, come in questo caso, l’apparenza del difetto si presta ad interpretazioni varie, in quanto si presenta in modo da lasciare spazio a varie ipotesi, ogni tecnico formula un suo personale giudizio e tende ad affezionarcisi molto.

LE CAUSE DEL DIFETTO

Nel nostro caso ognuno in sede preliminare diede la responsabilità all’applicazione del prodotto verniciante su supporto umido, all’ambiente troppo freddo, alla vernice troppo caricata o con un legante di pessima qualità, all’esposizione dei mobili con verniciatura ancora “fresca” in ambienti estremamente umidi, alla diluizione della vernice (in questo caso si trattava di fondo e finitura poliuretaniche), all’imballaggio non traspirante ed eseguito a polimerizzazione non ultimata.
Si passò quindi alla fase di ricerca tecnica della prova della responsabilità, iniziando le prove di laboratorio, ma molti CTP, più preparati dal punto di vista legale, non sapevano neanche a quali laboratori rivolgersi, finendo così in strutture chimicamente preparatissime, ma scarsamente o per niente preparate su problemi di verniciatura di questa portata.
Finì che le analisi eseguite da ogni parte, o erano indecifrabili (quindi inutili, anche se facevano massa documentale), oppure erano talmente articolate che fornivano delle risposte (magari anche precise), che però si prestavano a mille interpretazioni, specie quando erano eseguite da laboratori preparati, ma che in genere tendono a non assumersi nessuna responsabilità.
Le conclusioni lasciarono quindi più dubbi di quanti ce ne fossero prima delle prove.

LE PROVE DEI CTP

Le nostre prove (in accordo con quelle eseguite dal produttore dei prodotti vernicianti impiegati) mostravano il fondo poliuretanico, degradato e poco polimerizzato, a causa di una diluizione eseguita con un diluente contenente alcoli primari, più specificatamente alcol etilico ed alcol isobutilico. Questa diluizione aveva neutralizzato in parte la polimerizzazione del fondo, consentendogli solo una reticolazione intorno al 30%, per cui, a seconda dell’assorbimento dei vari legni e dello spessore di prodotto applicato, nei pezzi spruzzati montati le pareti verticali erano sbiancate poco o niente (perché lo spessore era minimo, quindi l’evaporazione del solvente era avvenuta in maniera rapida e totale, lasciando il catalizzatore a fare il proprio mestiere, almeno in buona parte), mentre nelle zone in cui la vernice era stata applicata in maggiore quantità, il difetto era maggiore proprio per l’impossibilità del diluente ad uscire tutto, lasciando a reagire gli alcoli (infatti a distanza di cinque o sei mesi abbiamo ancora trovato tracce di diluente nel film di vernice) con l’isocianato del catalizzatore, neutralizzandolo in parte e causando i difetti che avevano provocato la contestazione.
Il CTP del falegname dichiarò con enfasi che la vernice era un pessimo prodotto, applicato male e non adatto a quei tipi di mobili. Il CTP del terzista dichiarò con distacco e sicurezza che il legno dei mobili era troppo umido e che il suo cliente aveva avvisato del problema il mobiliere (un avviso verbale che in mancanza di comunicazione scritta non aveva alcun valore), aggiungendo che era a conoscenza del fatto che i mobili, subito dopo la produzione, erano stati immagazzinati per oltre mese in un magazzino seminterrato, molto umido.

LE PROVE DEL CTU

In realtà tutti questi fatti, più o meno dimostrati e molto dibattuti, possono aver accentuato il processo di degradazione, ma non ne sono certo la causa. Il CTU comunque dispose di eseguire prove specifiche, fatte nel laboratorio del mobiliere, con le stesse vernici e gli stessi pannelli, ma con due diluenti diversi, con pannelli umidi (17%) e secchi (11%) dopo di che, verniciati con lo stesso ciclo dei mobili contestati, sarebbero stati lasciati ad asciugare e poi inseriti in un bidone chiuso, con alcuni litri di acqua sul fondo.
Dopo un mese i pezzi vennero tolti dal bidone alla presenza dei quattro CTP e del CTU. I pezzi erano, chi più chi meno, sbiancati tutti, ma il giorno dopo, quando vennero osservati di nuovo i pezzi, solo quelli diluiti con diluente contenente alcool erano rimasti sbiancati. Anche i pezzi verniciati su supporti freddi e umidi erano leggermente rimasti un po’ “ciechi” (appena sbiancati), ma nel tempo sono ritornati normali.

CONCLUSIONI

La controversia è ancora in corso, ma la relazione tecnica del CTU conferma che il difetto è frutto della diluizione sbagliata. In questa sede non è importante conoscere l’esito del processo, in quanto lo scopo di questi articoli è quello di analizzare i più frequenti casi di contestazione, dovuti a difetti di verniciatura, in modo da trarre utili indicazioni per la corretta gestione dei processi di verniciatura e dei parametri principali che è necessario tenere sotto controllo per ottenere risultati ottimali. Data la mia esperienza, consiglio vivamente tutti gli operatori del settore di evitare di arrivare al processo, cercando sempre una soluzione extragiudiziale (arbitrato, conciliazione ecc.), ma soprattutto evitando i difetti alla fonte: anche per le questioni legali prevenire è meglio che curare, perché non è detto che in tribunale vinca sempre chi ha ragione…


Film di vernice con microcricche (analisi al microscopio)


Vernice sbiancata


Stratigrafia microcricche


Vista superficiale delle microcricche